CCL VENDITA

(tratto dal comunicato stampa di Unia del 21.06.2016)

 

Il personale dice no a minimi salariali da fame

Unia non firma il CCL della vendita: un contratto che istituzionalizza il dumping

 

Il sindacato Unia non firmerà il contratto collettivo di lavoro (CCL) per il settore della vendita concordato tra le organizzazioni padronali e i sindacati OCST, SIC e SIT nell'ambito del “tavolo di conciliazione” istituito all'indomani dell'accettazione popolare, il 28 febbraio scorso, della nuova Legge sugli orari di apertura dei negozi dal consigliere di Stato Christian Vitta. La decisione, comunicata poco fa allo stesso capo del Dipartimento cantonale delle finanze, è stata presa ieri sera all'unanimità dall'assemblea dei delegati del settore terziario di Unia Ticino, che ha giudicato la proposta non solo completamente inadeguata a risolvere i problemi del personale del settore, ma anche pericolosa per l'insieme delle lavoratrici e dei lavoratori, poiché con questo CCL si istituzionalizza il dumping salariale.

 

I minimi salariali previsti (3’100 franchi mensili per il personale non qualificato) sono infatti di gran lunga inferiori a quelli prescritti da altri importanti CCL del ramo (Migros 3'750, Coop 3'900, shop delle stazioni di servizio 3'600) e del settore (parrucchieri 3'400, ristorazione-alberghiero 3'407) e si situano addirittura al di sotto del fabbisogno vitale minimo considerato dalla legislazione sull'AVS e sull'aiuto sociale. Con un CCL di questo tipo si legalizza il dumping, si alimenta il processo di esclusione della popolazione residente dal mercato del lavoro e si sdogana l'idea che in Ticino uno stipendio di 3'100 franchi lordi al mese in fondo è adeguato, il che rappresenta una minaccia anche per i salariati di altri rami e settori professionali.

 

La necessità di meglio conciliare professione e vita famigliare e privata, molto sentita dal personale della vendita, non viene minimamente presa in considerazione dal CCL: la  settimana lavorativa (42 ore in media all'anno) rimane più lunga che in altri rami e inoltre le norme protettive contro la frammentazione dell'orario di lavoro sono totalmente insufficienti ed i pochi limiti imposti (come quello della giornata di 12 ore -sulle 13 di apertura dei negozi...- per le persone impiegate almeno al 50 per cento) sono derogabili con un semplice accordo scritto.

 

In linea generale il CCL non contiene alcun miglioramento e si limita a riprendere le norme minime della legislazione sul lavoro: 14 settimane di congedo maternità e  4 di ferie (con eccezioni solo per gli ultracinquantenni e per quelli con più di 20 anni di servizio).

 

Particolarmente scandaloso è poi il meccanismo di finanziamento della commissione di controllo, cui spetterebbe il compito di vigilare sull'applicazione corretta del CCL: alla cassa vengono chiamati praticamente solo i lavoratori con un contributo di 60 franchi annui a testa, mentre i datori di lavoro se la cavano con 50 franchi all'anno indipendentemente dal numero di dipendenti. Un dato che testimonia la totale assenza di volontà da parte padronale di costituire una vera comunità contrattuale e di dotarsi dei mezzi sufficienti per garantire il rispetto del contratto.

 

Alla luce di tutte queste considerazioni, centinaia di lavoratrici e lavoratori che Unia ha consultato sui luoghi di lavoro e nell'ambito di numerose assemblee sul territorio nelle ultime settimane, hanno manifestato ferma opposizione a questo contratto, che non risponde minimamente né alle loro aspettative, né ai bisogni del settore e del mercato del lavoro. Il personale esprime preoccupazione per questo regalo ai colossi della grande distribuzione, che potranno usufruire dell'estensione degli orari previsti dalla nuova legge a costo zero, senza dover concedere nulla come contropartita. A farne le spese saranno i piccoli commerci che si vedranno confrontati con un'accresciuta concorrenza da parte dei centri commerciali e di soggetti particolarmente interessati a livelli salariali bassi e dunque al nostro territorio.

 

Un contratto preconfezionato

Le delegate e i delegati del sindacato Unia stigmatizzano infine l'attitudine dell'autorità cantonale, che ha chiamato al tavolo negoziale sindacati non rappresentativi della realtà del commercio al dettaglio come  SIT e SIC ed ha adottato una metodologia di lavoro che non ha consentito una consultazione della base durante le trattative ma solo a CCL ultimato.

 

Un CCL dai contenuti preconfezionati dalle forze padronali d'intesa con i sindacati a loro vicini al solo scopo di consentire l’entrata in vigore della legge che estende gli orari di apertura. Di fronte a questa situazione e dopo aver comunque tentato di convincere il padronato e i sindacati ad esso vicini della necessità di un CCL degno di questo nome, Unia prende atto di trovarsi di fronte a una finzione, a una stucchevole parodia della concertazione. Di qui la decisione di tirarsi fuori e di proseguire con ancora più determinazione il lavoro al fianco del personale in difesa dei suoi diritti e della sua dignità.

 

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